“Boom, disalberiamo! Anzi, no”. Storia di un salvataggio estremo

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“Boom, disalberiamo! Anzi, no”. Storia di un salvataggio estremo

Disalberare per una barca a vela è come per un uccello perdere le ali: ci si pianta, si precipita, e ci si può fare molto male. Insomma è un disastro. Chi ha la sfortuna di vivere a bordo questa esperienza, in genere la descrive come un momento assolutamente terrificante: un rumore simile a un’esplosione, le vele che invadono la coperta e coprono la visuale, un groviglio informe di cavi metallici e il troncone dell’albero dai bordi taglienti che con le oscillazioni della barca è come un killer pronto a fare altri danni. Questo è lo scenario più tranquillo. Quando cioè nessun membro dell’equipaggio è rimasto ferito sotto i chili di metallo e carbonio che piombano giù. Altrimenti è proprio l’inferno.

Il disalberamento per fortuna è un’emergenza rara. Eppure solo nelle ultime settimane ha colpito ben due equipaggi in gara nel giro del mondo The Ocean Race. Il primo incidente è successo il 26 aprile scorso a bordo dell’Imoca 60 Holcim PRB al comando di Kevin Escoffier che ha disalberato al largo del Brasile mentre era in testa alla flotta. Un improvviso cedimento strutturale, ipotizza il team, avvenuto in condizioni meteomarine nemmeno troppo impegnative. C’è un video che riprende tutta la scena di notte ed è impressionante per due motivi: la velocità con cui tutto accade e la freddezza e il perfetto self control con cui reagisce l’intero equipaggio all’emergenza. Nessuno si è fatto male, solo grandi danni e prosecuzione del giro del mondo in forse.

Il disalberamento è una ferita fisica e mentale

L’altro disalberamento è toccato all’equipaggio di Guyot Environnement – Team Europe al comando di Robert Stanjek mentre navigava in Atlantico settentrionale, a poco più di 600 miglia a Est di Newport, Rhode Island. Sempre di notte, ma questa volta in condizioni più difficili, con venti di burrasca che superavano i 30 nodi. Anche in questo caso per fortuna nessun ferito, ma grande shock e morale a terra. Perché il disalberamento è così per un marinaio, una grossa ferita che ti scava dentro. C’è da dire che sugli Imoca 60 moderni, ci sono numerosi sensori di carico, sui foil e sull’albero, proprio per prevenire incidenti di questo tipo che in teoria dovrebbero essere sempre più rari. Ma, appunto, solo in teoria. Su tutte le altre barche invece c’è solo la manutenzione rigorosa del rigging a ridurre i rischi di disalberamento. E la capacità di reazione di fronte a un cedimento improvviso. Lo sa bene il navigatore e sailing coach Luca Sabiu che durante il Giro d’Italia Formativo Uisp 2023 a bordo del suo Class 40 “Flow” ha subito la stessa avaria. Solo l’intervento tempestivo di Luca, la sua grande esperienza di navigazione e gli accessori di rispetto giusti hanno evitato il peggio. Quello che segue è il resoconto dettagliato dell’incidente, avvenuto lo scorso 4 maggio al largo della costa marchigiana, in cui Luca ripercorre tutta la sequenza di manovre e operazioni messe in atto che hanno permesso di evitare un disastro.

“Ho guardato in alto e la vela di prua era scomparsa!”

La notte abbiamo scapolato il Gargano davvero veloci, barca potente sulle onde, una mano alla randa per alleggerire il pilota e via come la luce sempre intorno ai 10/11 nodi di SOG. Dovevamo guadagnare a Est verso la Croazia, così alla rotazione del vento avremmo virato e giù dritti a cannone verso Ancona. Alle ore 8,55 sotto una pioggia in stile “bretone” a bordo si sente un botto, una vera esplosione. Io ero l’unico fuori in pozzetto sotto il cupolino. Ho subito pensato a una collisione con un oggetto galleggiante. Mi sono girato verso poppa per vedere cosa sarebbe uscito sottovento, ma non c’era assolutamente nulla. Allora ho girato la testa e mi si è presentato uno scenario difficile da dimenticare: la nostra vela di prua compresa di strallo e frullone erano scomparsi. In sintesi stavamo per subire un disalberamento. Chi naviga con me sa bene quanto insisto nel lavoro sulle manovre d’emergenza immediate. Lo ripeto allo sfinimento: “nel momento dell’emergenza, barra all’orza”. Le chiamo “manovre di spunto” e sono quelle manovre, che costituiscono appunto l’input iniziale che aprono la procedura. Da quel momento in avanti si potrà poi concludere la manovra che serve, fermare la barca, fare un quick stop, etc. È come una formula: poca barra, tanto tempo per fare altre regolazioni; viceversa tanta barra, poco tempo.

Si deve reagire in pochi secondi

In questi giorni molti allievi mi hanno chiesto come ho deciso di andare decisamente alla poggia e non all’orza per evitare il disalberamento. E la risposta è che su queste barche bisogna mantenere lucidità e capacità di analisi con tempi molto stretti. Dobbiamo avere nella nostra testa tanti file su come risolvere le situazioni, ma ancora prima dobbiamo cercare di fare un’analisi lucida immediata, perché la manovra errata potrebbe costarci davvero molto cara. Questa volta però la manovra da fare era esattamente il contrario di quella canonica e bisognava farla subito, senza esitazione. Una delle azioni importanti da fare a freddo, o che almeno io faccio quando succede un evento inaspettato, magari mai successo prima, è quello di analizzare l’evento accaduto, i fattori e le cause, e procedere a un’analisi puntuale su come è stato gestito. Anche questo fa parte del mio lavoro.

Come si spezza una piastra in acciaio di 15 mm?

Di primo impatto, a caldo, ho creduto che l’epilogo del nostro incidente alla landa dello strallo di prua fosse stato dettato sicuramente dalla fortuna. Ma poi, analizzandolo bene, ci sono troppe sfumature che con la fortuna c’entrano solo in minima parte. Una rottura così brutale non si può prevedere. La piastra in questione è un componente realizzato dal cantiere produttore, ossia Pogo Structures. Parliamo di una piastra da 15 mm che non presentava segni particolari da far pensare a una possibile rottura. Anche perché nel dubbio l’avremmo sostituita senza pensarci, così come abbiamo fatto con il sartiame solo 6 mesi fa. Con il rigger abbiamo preso in mano quel pezzo mille volte e non presentava alcun segno di cedimento. Detto questo, un possibile disalberamento dobbiamo considerarlo una “condizione”, un fatto esterno sul quale non possiamo farci nulla, è successo. Nel momento in cui strallo e frullone volano in aria impazziti, quello su cui invece dobbiamo lavorare è la gestione dell’emergenza e abbiamo purtroppo pochissimi secondi.

Ecco perché dopo il “botto” abbiamo poggiato

L’allievo al timone mi ha poi confessato che al mio comando perentorio di poggiare lo ha eseguito senza battere ciglio, anche se non era d’accordo con la manovra. Lui avrebbe decisamente orzato. Questo in ogni caso deriva dal fatto che ho abituato i miei allievi ad attuare la manovra di spunto in caso di problema con barra all’orza. In questo caso tuttavia tale manovra avrebbe sancito la fine dell’albero. E magari avrebbe anche procurato traumi e contusioni all’equipaggio con 20 metri di carbonio sulla testa. Poggiando invece abbiamo scaricato la pressione verso prua e quindi dato carico alle volanti. Il frullone successivamente è più o meno rientrato in barca. Così ho chiesto al timoniere di restare di poppa e non muoversi da lì, quindi sono riuscito a recuperarlo. Veniamo ora a un pezzo di rispetto che in questa emergenza si è rivelato decisivo. Lo stroppo. Sono maniaco e metodologico, quasi paranoico su dove mettere le dotazioni e attrezzature me ne rendo conto. Ma guarda caso quando succede qualche casino ho quello che mi serve proprio dove mi aspetto che sia. Qualche anno fa durante una navigazione nel Golfo del Leone per il Centro Velico Caprera si era sfilata una volante alta, nuova e appena installata. Ce la siamo ritrovata in coperta, ma nulla di così grave. Abbiamo issato la trinchetta, le volanti basse e siamo arrivati senza problemi a destinazione.

Quello stroppo in Spectra che ci ha salvato

Da quel giorno tuttavia mi sono preparato uno stroppo in Spectra da 8 mm già piombato da una parte, così da poter fare in 3 secondi una bocca di lupo e poter parancare. Lo tengo sempre a riposo a poppa e questo stroppo ha fatto davvero la differenza: 10  secondi dopo il botto, io ero a prua con in mano esattamente ciò che serviva. Questa non è fortuna, ma pianificazione e lavoro di anni. A quel punto con l’aiuto dello stroppo ho potuto ridare una certa tensione allo strallo. E ho potuto riavvolgere la vela che senza tensione non si sarebbe mai avvolta. Per chiarezza il mio sistema di strallo francese è senza drizza, quindi la vela non può essere ammainata, può solo essere avvolta, visto che è legata in testa e sul punto di mura. Dopo avere eseguito la legatura e ridato tensione allo strallo, ho messo due drizze dello spinnaker in forza sull’attacco del bompresso e cazzandole a morte l’albero era praticamente in sicurezza. Inoltre avevo già messo in forza lo strallo mobile della trinca. Il disalberamento era sventato. Una delle competenze su cui lavoro con gli allievi è quella dei due cerchi. Immaginiamo due cerchi uguali con uno spazio tra loro. Il primo cerchio rappresenta l’evento o l’avaria, il secondo cerchio è l’emergenza. Nello spazio tra i due cerchi ci siamo noi con le nostre competenze, le nostre scelte, il nostro lavoro e più saremo pronti e preparati e più terremo questi due cerchi distanti. È esattamente quello che è successo a noi.

Lancio del PAN PAN e uso del telefono satellitare

Il passo successivo è stato ammainare anche la randa per evitare ulteriori carichi. A quel punto era giunto il momento di lanciare il PAN PAN. L’ho fatto, ripetendolo un paio di volte, ma eravamo troppo lontani dalla costa. “Non ci sentiranno mai – ho detto agli allievi – forse qualche barca croata”. E infatti non abbiamo ricevuto nessuna risposta. Poco male, a bordo abbiamo un sistema di messaggistica satellitare e un telefono satellitare. Ho chiamato il mio shore team spiegando l’accaduto e gli ho chiesto di lanciare il PAN PAN per noi. Mi sono premurato però di mandare un messaggio satellitare con la nostra posizione, prua, velocità, tipo di avaria, in modo da ridurre il rischio di possibili errori di comprensione e scaricare loro da ogni possibile responsabilità. Il telefono satellitare è un mezzo utilissimo. Spesso di fa confusione con il PLB e molti allievi mi chiedono quale acquistare tra i  due. Sono due strumenti totalmente diversi, ma complementari e uno non esclude l’altro. Il satellitare lo uso spesso. Mi è capitato di gestire una emergenza medica di un ragazzo con dolori al petto al quale è bastato parlare con il mio medico a terra per capire che non si trattava di infarto. Oppure di chiamare il rigger per un consulto sulla tensione di una diagonale che non mi convinceva. Poi quotidianamente alle 19 lo anche per fare una “check position” e scambiare due parole con mia moglie.

Ogni azione è ragionata: nelle emergenze non si improvvisa

Gli allievi mi hanno chiesto il perché del PAN PAN, visto che ormai eravamo in sicurezza e l’albero era ancora in piedi. La ragione è semplice: eravamo a 44 miglia dalla costa, senza la possibilità di dare vela se non ridottissima e carburante sufficiente a coprire il doppio della distanza tra noi e la costa. Tuttavia con la previsione di una burrasca in avvicinamento, poi puntualmente arrivata la sera quando ormai eravamo in porto, se per qualche motivo il motore ci avesse abbandonato, l’avremmo presa in pieno. Con l’invio del PAN PAN, la Guardia Costiera ha tracciato la nostra posizione tramite l’AIS di bordo fino al nostro atterraggio e alla mia cancellazione dello stesso in fonia. Un altro motivo per averlo lanciato è dato dal fatto che se la mia legatura non avesse tenuto e avessimo disalberato, a quel punto avremmo detto addio all’antenna AIS. Lanciare un PAN PAN non vuol dire urlare “aiuto, aiuto”. Ma comunicare che si ha un problema di una certa entità e si sta cercando di risolverlo.

Una preziosa lezione di sicurezza per chi naviga a vela

Per quanto riguarda la navigazione conservativa per ridossarci, con quella previsione in arrivo ho scelto di navigare a motore sopravento alla rotta, visto che in caso di un guasto al motore con la piccola tormentina non avremmo di certo potuto risalire il vento. Dopo oltre 10 ore siamo arrivati in porto, ormai con quasi 25 nodi di reale, ma il nostro shore team aveva già organizzato il posto barca e ci aspettava. Nelle ore successive pur avendoci consegnato i disegni del nostro rigging, il Cantiere Pogo ci ha informato che non aveva pezzo disponibile a magazzino. Quindi con un nostro tecnico e perito stiamo provvedendo a realizzare il nuovo pezzo. Affrontare un’emergenza del genere, come un possibile disalberamento, e analizzarla in dettaglio come in questo articolo ha naturalmente un grande valore per i protagonisti. Ma anche per chi la condivide. Si porta comunque a casa un’esperienza capitata a qualcun altro e si fa tesoro delle informazioni ricevute. Spero di avere lasciato con questo racconto uno spunto di riflessione e di crescita per tutti coloro che navigano e amano il mare, rischi e incognite comprese.

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